domenica 15 marzo 2009
domenica 8 marzo 2009
Chi sono i nomadi?
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Dietro la frettolosa etichetta di "nomadi", si cela in realtà una pluralità di condizioni, culture e desideri molto diversi fra loro. | |
di Matteo Jade 12 GENNAIO 2001 | |
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Chi sono i nomadi? Chi sono gli Zingari, i Rom o i Sinti, che a singhiozzo riempiono le pagine dei quotidiani cittadini, o che spesso incontriamo accampati con i loro furgoni scassati lungo i viali della nostra città? Queste sono le domande che ci siamo posti di fronte ad un fenomeno di cui si parla spesso senza però conoscerlo veramente. Il mondo dei nomadi è un arcipelago molto articolato, fatto di storie e culture differenti, comprenderlo non è semplice. Occorre innanzitutto smontare molti dei luoghi comuni che un po' tutti abbiamo, spogliandosi anche di quelle convinzioni che non derivano da pregiudizi, ma semplicemente dalla scarsa conoscenza di un fenomeno che è, appunto, molto complesso. Dietro la frettolosa etichetta di "nomadi", si cela in realtà una pluralità di condizioni, culture e desideri molto diversi fra loro. Ci sono i Rom di origine bosniaca l'etnia più presente a Genova, da quasi vent'anni nei campi regolari, i Sinti di origine piemontese e poi gli invisibili, i veri "nomadi", perlopiù profughi dell'est fuggiti dalla miseria e dalla distruzione delle loro case in seguito a qualche "guerra umanitaria", quelli che nessuno vorrebbe vedere e che da mesi sono sospinti da un quartiere all'altro della città con le loro roulotte, e di cui poco si parla, se non quando "bisogna" costruire un qualsivoglia allarme sociale. A Genova i campi nomadi "regolari" sono tre, alla Foce, in via dei Pescatori, a Molassana, in via Adamoli e a Bolzaneto. Con l'aggettivo "regolari" si intendono i campi autorizzati e riconosciuti dall'Ufficio stranieri e nomadi del Comune, l'organo che ha competenza di controllo e di intervento. Alla Foce, campo nomadi storico della città, ed a Molassana si sono stanziati i Rom di origine bosniaca e montenegrina, mentre a Bolzaneto i nomadi sono Sinti, quindi italiani, di origine piemontese. Il campo di via dei Pescatori, alla Foce, è il più grande ed il più vecchio della città, vi sono presenti 27 nuclei familiari, mentre a Molassana, dove lo stanziamento è notevolmente più piccolo e più recente, vivono 13 famiglie. Da molto tempo l'ufficio Stranieri del Comune, tramite cooperative di operatori ed assistenti sociali, e la Comunità di Sant'Egidio, svolgono un importantissimo ruolo di intervento con progetti di integrazione dei nomadi con il quartiere e con la città, promuovendo e stimolando la scolarizzazione dei bambini e l'inserimento lavorativo degli adulti. Gli interventi sono estesi ai tre campi e si sviluppano su linee di intervento "sociali e responsabilizzanti" e non coercitive: si tenta, in sostanza, di rendere i nuclei familiari responsabili ed indipendenti, cercando di sviluppare al massimo la loro volontà di integrarsi sempre di più nel territorio ai margini del quale vivono, senza interventi di forza o, comunque dall'"esterno". E sembra che fino ad ora i risultati non si siano fatti attendere: tutti i bimbi, ad esempio del campo della Foce, sono iscritti e frequentano regolarmente le scuole, alcuni anche le superiore. Anche per quanto riguarda gli adulti, sono molti quelli che frequentano corsi di formazione o che hanno direttamente trovato lavoro. Il progetto complessivo sui campi regolari, attuato soprattutto attraverso operatori sociali, è quello di consentire e facilitare l'integrazione, cercando di rispettare e non calpestare le singole storie e culture. Restano poi gli "invisibili". Vivono una condizione di nomadismo più per necessità che per cultura, i progetti d'"intervento" per loro sono impraticabili perché agli occhi di chi governa il territorio queste persone semplicemente non esistono. Sono irregolari, profughi senza diritto d'asilo, clandestini, un problema scottante intorno al quale si costruisce al massimo un'emergenza, o nuove politiche sulla sicurezza. Evitando così di prendere atto che quello delle migrazioni è un processo storico irreversibile, che ha bisogno di politiche capaci di decodificare i profondi cambiamenti sociali che stanno avvenendo, agendo di conseguenza. |
rom a Genova
Genova: Un palazzo per i rom
19 aprile 2008
Il Comune ha deciso di ospitarli a Cornigliano. Il mese prossimo gli sgomberi
Un condominio per un’ottantina di rom (slavi) potrebbe essere ricavato dalla ristrutturazione di un edificio disabitato in via dei Laminatoi, a Cornigliano. I rom sono quelli che abitano da sempre lo storico campo nomadi di Molassana e che sarebbero trasferiti nel fabbricato pubblico di Cornigliano per lasciare posto, negli stessi container di via Adamoli, a circa 150 zingari provenienti dalla Romania e oggi in gran parte accasati nell’ex Miralanza di Rivarolo.
Nel giro di tre settimane, infine, la vecchia fabbrica di detersivi, dove si sono installati la maggior parte dei romeni senza casa che campano di espedienti sotto la Lanterna, sarà sgomberata in risposta alle lamentele degli abitanti della zona, sempre più insofferenti alla presenza dei rom. Su queste tre direttrici si svilupperà, entro l’estate l’azione, del Comune per tentare di risolvere una volta per tutte il rebus dei rom.
La questione è tra quelle più spinose attualmente nelle mani della giunta Vincenzi. Da mesi se ne occupano tre assessori, talvolta rimpallandosi i problemi: Francesco Scidone (Sicurezza), Massimiliano Morettini (Immigrazione) e Bruno Pastorino (Patrimonio). Sinora l’emergenza è stata affrontata a colpi di sgomberi, che continueranno ad oltranza. Nel giro di un anno, ne sono stati eseguiti almeno una decina.
Il più importante in via Greto di Cornigliano, lo scorso 18 marzo: la baraccopoli lungo il torrente è stata rasa al suolo. Su oltre cento romeni sloggiati, una quarantina sono stati presi in carico dai Servizi sociali di Tursi che li ospita in albergo, si occupa dei minori e cerca di favorire l’inserimento lavorativo degli adulti. Quasi tutti gli altri rom, di volta in volta allontanati dagli insediamenti abusivi sparsi nel Ponente, hanno eletto a propria dimora la vecchia fabbrica al confine tra Teglia e Rivarolo.

Sono almeno duecento i romeni di stanza nell’ex Miralanza. Qui il sovraffollamento amplifica le tensioni dentro e fuori l’accampamento. Dentro l’enorme rudere, che avrebbe dovuto essere soppiantato dall’ospedale di vallata, di recente sono divampati un incendio e una rissa. Fuori, l’insofferenza di chi abita e lavora a Teglia e Rivarolo monta di pari passo con l’aumento del numero di nomadi nella vecchia Miralanza, di cui è proprietario un gruppo immobiliare milanese. Si temono ritorsioni da parte di qualche testa calda. A tal punto che, da giovedì scorso, una pattuglia della polizia municipale sosta costantemente davanti all’ingresso del polo produttivo in disuso. Di notte, presidiano l’area polizia e carabinieri.
Intanto, Morettini, Scidone e Pastorino lavorano alacremente a un piano di sistemazione (e controllo) dei rom a medio-lungo termine. Accantonata l’ipotesi di un terzo campo nomadi, accanto a quelli di Bolzaneto e Molassana, dove abitano rispettivamente oltre 120 sinti italiani e circa ottanta rom bosniaci, dal cilindro della giunta è spuntata una nuova opzione. Quella, appunto, di recuperare un edificio diroccato a Cornigliano, in via dei Laminatoi, traversa di corso Perrone, per trasformarlo in un condominio da destinare ai rom slavi trasferiti lì da Molassana.
L’edificio appartiene al patrimonio di Sviluppo Genova, la società pubblico-privata (tra gli azionisti anche Regione, Comune, Provincia e Camera di commercio) che si occupa di valorizzare le aree industriali dismesse. «In effetti - conferma Alberto Ghio, amministratore delegato di Sviluppo Genova e vicesindaco nel precedente ciclo amministrativo - la giunta ha sondato informalmente la disponibilità dell’edificio per dare un tetto ad alcune famiglie rom». «Non ho ancora ricevuto alcuna richiesta ufficiale - sottolinea Ghio - ma da parte nostra non vedo ostacoli, tanto più che la nostra società è partecipata dal Comune». Il difficile, semmai, sarà trovare i soldi necessari alla ristrutturazione dell’immobile, anche ammettendo che fosse concesso a titolo gratuito da Sviluppo Genova al Comune.
La palazzina, che si trova accanto a un altro edificio abbandonato (di proprietà privata) e non lontano da alcuni condomini densamente popolati, era una caserma della guardia di finanza prima di essere abbandonata al degrado. La fiamme gialle erano in affitto dal gruppo Garrone che, in seguito, ha ceduto la proprietà alla società oggi guidata da Ghio. Che ricorda: «Sull’ex caserma aveva messo gli occhi un privato che avrebbe voluto demolirla sfruttando la possibilità di trasferire le stesse superfici edificabili in un’altra zona della città.
Ma l’operazione non è stata autorizzata ed è finita nel nulla». Ora un intervento di tutt’altro segno si profila in via dei Laminatoi: recuperare il palazzo a fini sociali. Non è un progetto da poco: si tratta di ricavare appartamenti, provvisti di tutti i servizi (gas, luce, riscaldamento, acqua corrente), in una struttura ormai cadente. Ancora non esiste una stima dell’investimento necessario, ma la cifra è ragguardevole. Soldi che il Comune spera di ricevere da Roma, dopo che è sfumata la possibilità di ottenere dal governo di Bucarest fondi per fornire assistenza ai romeni “genovesi”.
Quella di Cornigliano sarà, comunque, una soluzione provvisoria: il “palazzo dei rom” dovrà essere abbattuto per far passare la gronda autostradale. Come pure dovrebbe essere a tempo la presenza dei romeni nel campo di via Adamoli, che sarà adeguatamente ampliato per ricevere almeno 150 rom: «Parliamo - sussurrano a Tursi - di un campo di transito, dove gli zingari possono sostare per brevi periodi».
giovedì 5 marzo 2009
Stay Hungry. Stay Foolish. - [Siate Affamati. Siate Folli] [22/02/2007] |
questo è il discorso di Steve Jobs ai laureati 2005 di Stanford Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie. La prima storia è sull'unire i puntini. Ho lasciato il Reed College dopo il primo semestre, ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa per altri 18 mesi circa prima di lasciare veramente. Allora, perché ho mollato? E' cominciato tutto prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata, e decise di lasciarmi in adozione. Riteneva con determinazione che avrei dovuto essere adottato da laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare fin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però quando arrivai io loro decisero all'ultimo minuto che avrebbero voluto adottare una bambina. Così quelli che poi sono diventati i miei genitori adottivi e che erano in lista d'attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: "C'è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete voi?" Loro risposero: "Certamente". Più tardi mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata al college e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l'adozione. Poi accetto di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college. Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l'ammissione e i corsi. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta la loro vita. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Era molto difficile all'epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell'attimo che mollai il college, potei anche smettere di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a capitare nelle classi che trovavo più interessanti. Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio Hare Krishna: l'unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio. Il Reed College all'epoca offriva probabilmente la miglior formazione del Paese relativamente alla calligrafia. Attraverso tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai dei caratteri serif e san serif, della differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, di che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era artistico, bello, storico e io ne fui assolutamente affascinato. Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare una applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E' stato il primo computer dotato di una meravigliosa capacità tipografica. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i persona computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente all'epoca in cui ero al college era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all'indietro. Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all'indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa - il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita. La mia seconda storia è a proposito dell'amore e della perdita Sono stato fortunato: ho trovato molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Woz e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in 10 anni Apple è cresciuta da un'azienda con noi due e un garage in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L'anno prima avevamo appena realizzato la nostra migliore creazione - il Macintosh - e io avevo appena compiuto 30 anni, e in quel momento sono stato licenziato. Come si fa a venir licenziati dall'azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l'azienda insieme a me, e per il primo anno le cose sono andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il Board dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era andato e io ero devastato da questa cosa. Non ho saputo davvero cosa fare per alcun imesi. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me - come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l'ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L'evolvere degli eventi con Apple non avevano cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo. Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creatvi della mia vita. Durante i cinque anni successivi fondai un'azienda chiamata NeXT e poi un'altra azienda, chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più di successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell'attuale rinascimento di Apple. E Laurene e io abbiamo una meravigliosa famiglia. Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. E' stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l'unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l'amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l'unico modo per essere realimente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l'unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l'avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate. La mia terza storia è a proposto della morte Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: "Se vivrai ogni giorno come se fosse l'ultimo, sicuramente una volta avrai ragione". Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: "Se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?". E ogni qualvolta la risposta è "no" per troppi giorni di fila, capisco che c'è qualcosa che deve essere cambiato. Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l'orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente svaniscono di fronte all'idea della morte, lasciando solo quello che c'è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c'è ragione per non seguire il vostro cuore. Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi avresti avuto ancora dieci anni di tempo per dirglielo. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi "addio". Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell'analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l'intervento chirurgico e adesso sto bene. Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci passato attraverso posso parlarvi adesso con un po' più di cognizione di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi: Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E anche che la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la Morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della Vita. E' l'agente di cambiamento della Vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità. Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario. Quando ero un ragazzo c'era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. E' stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci ha messo dentro tutto il suo tocco poetico. E' stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fato con macchine da scrivere, forbici e foto polaroid. E' stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni. Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell'ultima pagina del numero finale c'era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l'autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c'erano le parole: "Stay Hungry. Stay Foolish.", siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me l o sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish. |
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