domenica 15 novembre 2009

idelfonso cerdà

" Nací en el primero tercio del siglo XIX, en una época en que la
sociedad española aún estaba unida a las antiguas tradiciones de
inmovilismo, y recuerdo la honda impresión experimentada cuando, todavía muy joven, vi por primera vez, en Barcelona, la aplicación del vapor a las máquinas industriales. En realidad lo que me había impresionado fue la vista de aquellos largos trenes que transportaban, antes en una dirección y despyés en la otra, una gran cantidad de viajeros, de clases sociales, edad y sexo diferentes, que hacía pensar en poblaciones enteras que iban de un lugar a otro, que cambiaban rápidamente de domicilio. Este espectaculo, siempre grande y nuevo para mi, después de la sorpresa que me causó, levantó mi humor a las
más altas consideraciones de nivel social, sobre todo cuando noté la dificultad con la cual todo este número de invitados inesperados
entraba a través de las estrechas puertas de la ciudad, se vertía por caminos estrechos y tortuosos y buscaba refugio en las pobres casas de los viejos barrios. ...no tengo ninguna duda sobre cuál será el resultado.
La época que está naciendo generará una civilización generosa y fértil, que transformará radicalmente la manera de ser y el funcionamiento de la sociedad... ...Después de haber echado una rápida ojeada sobre los grandes centros urbanos, me convencí de que estos con sus estructuras producidas por civilizaciones casi inmovibiles, oponen muchos obstáculos a la nueva civilización que requiere espacios más vastos, una mayor libertad de movimiento, ofreciendo una intensa actividad.
Obstáculos parecidos tendrán que ser removidos..."

" le città sono un prodotto della storia, è vero, ma della storia dell'oppressione, della storia antinaturale, e non della vera storia umana."
" Bisogna tornare alle radici della storia prima della snaturalizzazione dell'uomo, bisogna studiare l'urbanizzazione ruralizzata. L'urbanizzazione perfetta sarà dunque il risultato dell'accoppiamento ideale della natura e del progresso tecnico".

domenica 8 marzo 2009

Chi sono i nomadi?










nomadi al casilino media Dietro la frettolosa
etichetta di "nomadi",
si cela in realtà una
pluralità di condizioni,
culture e desideri molto
diversi fra loro.
di Matteo Jade
12 GENNAIO 2001
Chi sono i nomadi? Chi sono gli Zingari, i Rom o
i Sinti, che a singhiozzo riempiono le pagine dei
quotidiani cittadini, o che spesso incontriamo
accampati con i loro furgoni scassati lungo i viali
della nostra città? Queste sono le domande che
ci siamo posti di fronte ad un fenomeno di cui si
parla spesso senza però conoscerlo veramente.
Il mondo dei nomadi è un arcipelago molto
articolato, fatto di storie e culture differenti,
comprenderlo non è semplice. Occorre innanzitutto
smontare molti dei luoghi comuni che un po'
tutti abbiamo, spogliandosi anche di quelle
convinzioni che non derivano da pregiudizi,
ma semplicemente dalla scarsa conoscenza
di un fenomeno che è, appunto, molto complesso.
Dietro la frettolosa etichetta di "nomadi", si
cela in realtà una pluralità di condizioni, culture
e desideri molto diversi fra loro. Ci sono i Rom
di origine bosniaca l'etnia più presente a Genova,
da quasi vent'anni nei campi regolari, i Sinti di origine piemontese e poi gli invisibili, i veri "nomadi",
perlopiù profughi dell'est fuggiti dalla miseria e
dalla distruzione delle loro case in seguito a qualche
"guerra umanitaria", quelli che nessuno vorrebbe
vedere e che da mesi sono sospinti da un quartiere
all'altro della città con le loro roulotte, e di cui poco
si parla, se non quando "bisogna" costruire un
qualsivoglia allarme sociale.
A Genova i campi nomadi "regolari" sono tre,
alla Foce, in via dei Pescatori, a Molassana, in
via Adamoli e a Bolzaneto. Con l'aggettivo
"regolari" si intendono i campi autorizzati e
riconosciuti dall'Ufficio stranieri e nomadi del
Comune, l'organo che ha competenza di controllo
e di intervento. Alla Foce, campo nomadi storico
della città, ed a Molassana si sono stanziati i Rom
di origine bosniaca e montenegrina, mentre a
Bolzaneto i nomadi sono Sinti, quindi italiani, di
origine piemontese. Il campo di via dei Pescatori,
alla Foce, è il più grande ed il più vecchio della città,
vi sono presenti 27 nuclei familiari, mentre a Molassana,
dove lo stanziamento è notevolmente più piccolo
e più recente, vivono 13 famiglie.
Da molto tempo l'ufficio Stranieri del Comune,
tramite cooperative di operatori ed assistenti sociali,
e la Comunità di Sant'Egidio, svolgono un importantissimo
ruolo di intervento con progetti di integrazione dei
nomadi con il quartiere e con la città, promuovendo
e stimolando la scolarizzazione dei bambini e l'inserimento lavorativo degli adulti. Gli interventi sono estesi ai
tre campi e si sviluppano su linee di intervento
"sociali e responsabilizzanti" e non coercitive: si
tenta, in sostanza, di rendere i nuclei familiari
responsabili ed indipendenti, cercando di sviluppare
al massimo la loro volontà di integrarsi sempre di
più nel territorio ai margini del quale vivono, senza
interventi di forza o, comunque dall'"esterno".
E sembra che fino ad ora i risultati non si siano
fatti attendere: tutti i bimbi, ad esempio del
campo della Foce, sono iscritti e frequentano
regolarmente le scuole, alcuni anche le superiore.
Anche per quanto riguarda gli adulti, sono molti
quelli che frequentano corsi di formazione o che
hanno direttamente trovato lavoro.
Il progetto complessivo sui campi regolari,
attuato soprattutto attraverso operatori sociali,
è quello di consentire e facilitare l'integrazione,
cercando di rispettare e non calpestare le singole
storie e culture.
Restano poi gli "invisibili".
Vivono una condizione di nomadismo più per
necessità che per cultura, i progetti d'"intervento"
per loro sono impraticabili perché agli occhi di
chi governa il territorio queste persone semplicemente
non esistono. Sono irregolari, profughi senza
diritto d'asilo, clandestini, un problema scottante
intorno al quale si costruisce al massimo un'emergenza,
o nuove politiche sulla sicurezza. Evitando così di
prendere atto che quello delle migrazioni è un
processo storico irreversibile, che ha bisogno di
politiche capaci di decodificare i profondi
cambiamenti sociali che stanno avvenendo, agendo di conseguenza.

rom a Genova

giovedì, 12 giugno 2008

Genova: Un palazzo per i rom

19 aprile 2008

Il Comune ha deciso di ospitarli a Cornigliano. Il mese prossimo gli sgomberi

Un condominio per un’ottantina di rom (slavi) potrebbe essere ricavato dalla ristrutturazione di un edificio disabitato in via dei Laminatoi, a Cornigliano. I rom sono quelli che abitano da sempre lo storico campo nomadi di Molassana e che sarebbero trasferiti nel fabbricato pubblico di Cornigliano per lasciare posto, negli stessi container di via Adamoli, a circa 150 zingari provenienti dalla Romania e oggi in gran parte accasati nell’ex Miralanza di Rivarolo.





Nel giro di tre settimane, infine, la vecchia fabbrica di detersivi, dove si sono installati la maggior parte dei romeni senza casa che campano di espedienti sotto la Lanterna, sarà sgomberata in risposta alle lamentele degli abitanti della zona, sempre più insofferenti alla presenza dei rom. Su queste tre direttrici si svilupperà, entro l’estate l’azione, del Comune per tentare di risolvere una volta per tutte il rebus dei rom.

La questione è tra quelle più spinose attualmente nelle mani della giunta Vincenzi. Da mesi se ne occupano tre assessori, talvolta rimpallandosi i problemi: Francesco Scidone (Sicurezza), Massimiliano Morettini (Immigrazione) e Bruno Pastorino (Patrimonio). Sinora l’emergenza è stata affrontata a colpi di sgomberi, che continueranno ad oltranza. Nel giro di un anno, ne sono stati eseguiti almeno una decina.

Il più importante in via Greto di Cornigliano, lo scorso 18 marzo: la baraccopoli lungo il torrente è stata rasa al suolo. Su oltre cento romeni sloggiati, una quarantina sono stati presi in carico dai Servizi sociali di Tursi che li ospita in albergo, si occupa dei minori e cerca di favorire l’inserimento lavorativo degli adulti. Quasi tutti gli altri rom, di volta in volta allontanati dagli insediamenti abusivi sparsi nel Ponente, hanno eletto a propria dimora la vecchia fabbrica al confine tra Teglia e Rivarolo.




Sono almeno duecento i romeni di stanza nell’ex Miralanza. Qui il sovraffollamento amplifica le tensioni dentro e fuori l’accampamento. Dentro l’enorme rudere, che avrebbe dovuto essere soppiantato dall’ospedale di vallata, di recente sono divampati un incendio e una rissa. Fuori, l’insofferenza di chi abita e lavora a Teglia e Rivarolo monta di pari passo con l’aumento del numero di nomadi nella vecchia Miralanza, di cui è proprietario un gruppo immobiliare milanese. Si temono ritorsioni da parte di qualche testa calda. A tal punto che, da giovedì scorso, una pattuglia della polizia municipale sosta costantemente davanti all’ingresso del polo produttivo in disuso. Di notte, presidiano l’area polizia e carabinieri.

Intanto, Morettini, Scidone e Pastorino lavorano alacremente a un piano di sistemazione (e controllo) dei rom a medio-lungo termine. Accantonata l’ipotesi di un terzo campo nomadi, accanto a quelli di Bolzaneto e Molassana, dove abitano rispettivamente oltre 120 sinti italiani e circa ottanta rom bosniaci, dal cilindro della giunta è spuntata una nuova opzione. Quella, appunto, di recuperare un edificio diroccato a Cornigliano, in via dei Laminatoi, traversa di corso Perrone, per trasformarlo in un condominio da destinare ai rom slavi trasferiti lì da Molassana.


L’edificio appartiene al patrimonio di Sviluppo Genova, la società pubblico-privata (tra gli azionisti anche Regione, Comune, Provincia e Camera di commercio) che si occupa di valorizzare le aree industriali dismesse. «In effetti - conferma Alberto Ghio, amministratore delegato di Sviluppo Genova e vicesindaco nel precedente ciclo amministrativo - la giunta ha sondato informalmente la disponibilità dell’edificio per dare un tetto ad alcune famiglie rom». «Non ho ancora ricevuto alcuna richiesta ufficiale - sottolinea Ghio - ma da parte nostra non vedo ostacoli, tanto più che la nostra società è partecipata dal Comune». Il difficile, semmai, sarà trovare i soldi necessari alla ristrutturazione dell’immobile, anche ammettendo che fosse concesso a titolo gratuito da Sviluppo Genova al Comune.

La palazzina, che si trova accanto a un altro edificio abbandonato (di proprietà privata) e non lontano da alcuni condomini densamente popolati, era una caserma della guardia di finanza prima di essere abbandonata al degrado. La fiamme gialle erano in affitto dal gruppo Garrone che, in seguito, ha ceduto la proprietà alla società oggi guidata da Ghio. Che ricorda: «Sull’ex caserma aveva messo gli occhi un privato che avrebbe voluto demolirla sfruttando la possibilità di trasferire le stesse superfici edificabili in un’altra zona della città.

Ma l’operazione non è stata autorizzata ed è finita nel nulla». Ora un intervento di tutt’altro segno si profila in via dei Laminatoi: recuperare il palazzo a fini sociali. Non è un progetto da poco: si tratta di ricavare appartamenti, provvisti di tutti i servizi (gas, luce, riscaldamento, acqua corrente), in una struttura ormai cadente. Ancora non esiste una stima dell’investimento necessario, ma la cifra è ragguardevole. Soldi che il Comune spera di ricevere da Roma, dopo che è sfumata la possibilità di ottenere dal governo di Bucarest fondi per fornire assistenza ai romeni “genovesi”.

Quella di Cornigliano sarà, comunque, una soluzione provvisoria: il “palazzo dei rom” dovrà essere abbattuto per far passare la gronda autostradale. Come pure dovrebbe essere a tempo la presenza dei romeni nel campo di via Adamoli, che sarà adeguatamente ampliato per ricevere almeno 150 rom: «Parliamo - sussurrano a Tursi - di un campo di transito, dove gli zingari possono sostare per brevi periodi».

scritto da: romesinti alle ore 22:54 | link | commenti
categorie: genova

giovedì 5 marzo 2009

Stay Hungry. Stay Foolish. - [Siate Affamati. Siate Folli] [22/02/2007]

questo è il discorso di Steve Jobs ai laureati 2005 di Stanford

Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree
in una delle migliori università del mondo. Io non mi
sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è
la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata.
Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita.
Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.

La prima storia è sull'unire i puntini.

Ho lasciato il Reed College dopo il primo semestre,
ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa
per altri 18 mesi circa prima di lasciare veramente.
Allora, perché ho mollato?

E' cominciato tutto prima che nascessi. Mia madre
biologica era una giovane studentessa di college non
sposata, e decise di lasciarmi in adozione. Riteneva
con determinazione che avrei dovuto essere adottato
da laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato
per farmi adottare fin dalla nascita da un avvocato
e sua moglie. Però quando arrivai io loro decisero
all'ultimo minuto che avrebbero voluto adottare una
bambina. Così quelli che poi sono diventati i miei
genitori adottivi e che erano in lista d'attesa,
ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte
che gli diceva: "C'è un bambino, un maschietto, non
previsto. Lo volete voi?" Loro risposero: "Certamente".
Più tardi mia madre biologica scoprì che mia madre
non si era mai laureata al college e che mio padre
non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare
le ultime carte per l'adozione. Poi accetto di farlo,
mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero
formalmente che un giorno io sarei andato al college.

Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente
ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford, e tutti i
risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l'ammissione
e i corsi. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna
vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei
voluto fare della mia vita e non vedevo come il college
potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo
tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da
parte lavorando per tutta la loro vita. Così decisi di
mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato
bene lo stesso. Era molto difficile all'epoca, ma
guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle
migliori decisioni che abbia mai preso. Nell'attimo che
mollai il college, potei anche smettere di seguire i corsi
che non mi interessavano e cominciai invece a capitare
nelle classi che trovavo più interessanti.

Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una
camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul
pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo
soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca cola
vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter
comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla
domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso
la città per avere finalmente un buon pasto al tempio
Hare Krishna: l'unico della settimana. Ma tutto quel
che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione
è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.

Il Reed College all'epoca offriva probabilmente la miglior
formazione del Paese relativamente alla calligrafia.
Attraverso tutto il campus ogni poster, ogni etichetta,
ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose.
Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei
seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così.
Fu lì che imparai dei caratteri serif e san serif, della
differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni
di lettere, di che cosa rende grande una stampa tipografica
del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è
in grado di offrire, perché era artistico, bello, storico e io ne
fui assolutamente affascinato.

Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare
una applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni
dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh,
mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac.
E' stato il primo computer dotato di una meravigliosa
capacità tipografica. Se non avessi mai lasciato il college
e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non
avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire
caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale.
E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non
ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità.
Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a
frequentare quel corso di calligrafia e i persona computer
potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia
che invece hanno. Certamente all'epoca in cui ero al college
era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è
diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho
potuto guardare all'indietro.

Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti;
potete solo unirli guardandovi all'indietro. Così, dovete aver
fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno
unire. Dovete credere in qualcosa - il vostro ombelico, il destino,
la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non
mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza
nella mia vita.

La mia seconda storia è a proposito dell'amore e della
perdita


Sono stato fortunato: ho trovato molto presto che cosa amo fare
nella mia vita. Woz e io abbiamo fondato Apple nel garage della
casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo
lavorato duramente e in 10 anni Apple è cresciuta da un'azienda
con noi due e un garage in una compagnia da due miliardi di
dollari con oltre quattromila dipendenti. L'anno prima avevamo
appena realizzato la nostra migliore creazione - il Macintosh -
e io avevo appena compiuto 30 anni, e in quel momento sono stato
licenziato. Come si fa a venir licenziati dall'azienda che hai creato?
Beh, quando Apple era cresciuta avevamo assunto qualcuno che
ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l'azienda
insieme a me, e per il primo anno le cose sono andate molto bene.
Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e
alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il
Board dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io
ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale
scopo della mia vita adulta era andato e io ero devastato da questa
cosa.

Non ho saputo davvero cosa fare per alcun imesi. Mi sentivo come
se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me -
come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata.
Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver
rovinato tutto così malamente. Era stato un fallimento pubblico
e io presi anche in considerazione l'ipotesi di scappare via dalla
Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me:
ancora amavo quello che avevo fatto. L'evolvere degli eventi con
Apple non avevano cambiato di un bit questa cosa. Ero stato
respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di
ricominciare da capo.

Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato
da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere.
La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla
leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più
certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi
di entrare in uno dei periodi più creatvi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi fondai un'azienda chiamata
NeXT e poi un'altra azienda, chiamata Pixar, e mi innamorai
di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie.
Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione
digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più di
successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi,
Apple ha comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia
sviluppata da NeXT è nel cuore dell'attuale rinascimento di Apple.
E Laurene e io abbiamo una meravigliosa famiglia.

Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non
fossi stato licenziato da Apple. E' stata una medicina molto amara,
ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita
ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono
convinto che l'unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia
stato l'amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate.
E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro
lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l'unico modo
per essere realimente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon
lavoro. E l'unico modo per fare un buon lavoro è amare quello
che fate. Se ancora non l'avete trovato, continuate a cercare.
Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete
quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà
sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate
a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate.

La mia terza storia è a proposto della morte

Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o
meno così: "Se vivrai ogni giorno come se fosse l'ultimo, sicuramente
una volta avrai ragione". Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi
33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi:
"Se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che
sto per fare oggi?". E ogni qualvolta la risposta è "no" per troppi
giorni di fila, capisco che c'è qualcosa che deve essere cambiato.

Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che
io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché
quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l'orgoglio,
tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente
svaniscono di fronte all'idea della morte, lasciando solo quello che
c'è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il
modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola
di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c'è
ragione per non seguire il vostro cuore.

Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto
la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato
chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche
che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava
di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che
sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che
è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire).
Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto
quello che pensavi avresti avuto ancora dieci anni di tempo per
dirglielo. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato
in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile.
Questo significa prepararsi a dire i tuoi "addio".

Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno.
La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell'analisi
effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso
lo stomaco sino agli intestini per inserire un ago nel mio pancreas
e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma
mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno
visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché
è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e
curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l'intervento chirurgico
e adesso sto bene.

Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e
spero che sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci
passato attraverso posso parlarvi adesso con un po' più di cognizione
di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi:

Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in
paradiso non vogliono morire per andarci. E anche che la morte è
la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli
è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la Morte è
con tutta probabilità la più grande invenzione della Vita. E'
l'agente di cambiamento della Vita. Spazza via il vecchio per
far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non
troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati
via. Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità.

Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita
di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire
vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate
che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore.
E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il
vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che
cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero un ragazzo c'era una incredibile rivista che si chiamava
The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia
generazione. E' stata creata da Stewart Brand non molto lontano
da qui, a Menlo Park, e Stewart ci ha messo dentro tutto il suo
tocco poetico. E' stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei
personal computer e del desktop publishing, quando tutto era
fato con macchine da scrivere, forbici e foto polaroid. E' stata
una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni
prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante
di concetti chiari e fantastiche nozioni.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The
Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro
percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà
degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell'ultima pagina del
numero finale c'era una fotografia di una strada di campagna di prima
mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l'autostop se
siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c'erano le parole:
"Stay Hungry. Stay Foolish.", siate affamati, siate folli.

Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me l
o sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per
cominciare una nuova vita, lo auguro a voi.

Stay Hungry. Stay Foolish.

sabato 31 gennaio 2009

31 gennaio 2009

Non si può girare intorno a certi argomenti, l'amore, la morte, le città; le cose importanti ci rendono diretti, non esistono scorciatoie, non puoi arrivarci da dietro, puoi solo entrarci dentro. Qundi solitamente stiamo zitti, chiudiamo gli occhi e cerchiamo di dimenticare.....
A Genova fisicamente non puoi girare intorno, niente circonvallazioni, niente tangenziali, spesso non vi sono scorciatoie possibili tra A e B. Così questa città si configura subito come un argomento difficile. Poi se vuoi, puoi provare a definirla con i codici dell'urbanistica: città lineare, verticale, per parti. (...)
E da questo baluginare siamo partiti per un lavoro iconico sulla città, icona secondo Deleuze "l'affetto in quanto espresso da un volto, o un equivalente di volto".