domenica 8 marzo 2009

Chi sono i nomadi?










nomadi al casilino media Dietro la frettolosa
etichetta di "nomadi",
si cela in realtà una
pluralità di condizioni,
culture e desideri molto
diversi fra loro.
di Matteo Jade
12 GENNAIO 2001
Chi sono i nomadi? Chi sono gli Zingari, i Rom o
i Sinti, che a singhiozzo riempiono le pagine dei
quotidiani cittadini, o che spesso incontriamo
accampati con i loro furgoni scassati lungo i viali
della nostra città? Queste sono le domande che
ci siamo posti di fronte ad un fenomeno di cui si
parla spesso senza però conoscerlo veramente.
Il mondo dei nomadi è un arcipelago molto
articolato, fatto di storie e culture differenti,
comprenderlo non è semplice. Occorre innanzitutto
smontare molti dei luoghi comuni che un po'
tutti abbiamo, spogliandosi anche di quelle
convinzioni che non derivano da pregiudizi,
ma semplicemente dalla scarsa conoscenza
di un fenomeno che è, appunto, molto complesso.
Dietro la frettolosa etichetta di "nomadi", si
cela in realtà una pluralità di condizioni, culture
e desideri molto diversi fra loro. Ci sono i Rom
di origine bosniaca l'etnia più presente a Genova,
da quasi vent'anni nei campi regolari, i Sinti di origine piemontese e poi gli invisibili, i veri "nomadi",
perlopiù profughi dell'est fuggiti dalla miseria e
dalla distruzione delle loro case in seguito a qualche
"guerra umanitaria", quelli che nessuno vorrebbe
vedere e che da mesi sono sospinti da un quartiere
all'altro della città con le loro roulotte, e di cui poco
si parla, se non quando "bisogna" costruire un
qualsivoglia allarme sociale.
A Genova i campi nomadi "regolari" sono tre,
alla Foce, in via dei Pescatori, a Molassana, in
via Adamoli e a Bolzaneto. Con l'aggettivo
"regolari" si intendono i campi autorizzati e
riconosciuti dall'Ufficio stranieri e nomadi del
Comune, l'organo che ha competenza di controllo
e di intervento. Alla Foce, campo nomadi storico
della città, ed a Molassana si sono stanziati i Rom
di origine bosniaca e montenegrina, mentre a
Bolzaneto i nomadi sono Sinti, quindi italiani, di
origine piemontese. Il campo di via dei Pescatori,
alla Foce, è il più grande ed il più vecchio della città,
vi sono presenti 27 nuclei familiari, mentre a Molassana,
dove lo stanziamento è notevolmente più piccolo
e più recente, vivono 13 famiglie.
Da molto tempo l'ufficio Stranieri del Comune,
tramite cooperative di operatori ed assistenti sociali,
e la Comunità di Sant'Egidio, svolgono un importantissimo
ruolo di intervento con progetti di integrazione dei
nomadi con il quartiere e con la città, promuovendo
e stimolando la scolarizzazione dei bambini e l'inserimento lavorativo degli adulti. Gli interventi sono estesi ai
tre campi e si sviluppano su linee di intervento
"sociali e responsabilizzanti" e non coercitive: si
tenta, in sostanza, di rendere i nuclei familiari
responsabili ed indipendenti, cercando di sviluppare
al massimo la loro volontà di integrarsi sempre di
più nel territorio ai margini del quale vivono, senza
interventi di forza o, comunque dall'"esterno".
E sembra che fino ad ora i risultati non si siano
fatti attendere: tutti i bimbi, ad esempio del
campo della Foce, sono iscritti e frequentano
regolarmente le scuole, alcuni anche le superiore.
Anche per quanto riguarda gli adulti, sono molti
quelli che frequentano corsi di formazione o che
hanno direttamente trovato lavoro.
Il progetto complessivo sui campi regolari,
attuato soprattutto attraverso operatori sociali,
è quello di consentire e facilitare l'integrazione,
cercando di rispettare e non calpestare le singole
storie e culture.
Restano poi gli "invisibili".
Vivono una condizione di nomadismo più per
necessità che per cultura, i progetti d'"intervento"
per loro sono impraticabili perché agli occhi di
chi governa il territorio queste persone semplicemente
non esistono. Sono irregolari, profughi senza
diritto d'asilo, clandestini, un problema scottante
intorno al quale si costruisce al massimo un'emergenza,
o nuove politiche sulla sicurezza. Evitando così di
prendere atto che quello delle migrazioni è un
processo storico irreversibile, che ha bisogno di
politiche capaci di decodificare i profondi
cambiamenti sociali che stanno avvenendo, agendo di conseguenza.

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